
Il 29 settembre 2021, il (prevedibilmente) ultimo dei regi decreti urgenti in campo socio-lavorativo legate alla pandemia di covid, estendendo le principali misure legate alla speciale regolamentazione temporanea del lavoro, che - fino a marzo 2020 - apparentemente ibernava figura di aggiustamento tra la riduzione della domanda di lavoro umano e le esigenze economiche delle persone che forniscono quel lavoro : ERTE.
Il regio decreto-legge 18/2021, del 28 settembre, ha chiesto un adeguamento definitivo - nell'ambito di una serie di legislazione motorizzato che ha messo alla prova la capacità normativa del legislatore e la capacità interpretativa e applicativa degli operatori giuridici - a tutela del lavoro, e ciò sostanzialmente attraverso uno strumento parzialmente finanziato con denaro pubblico; cioè attraverso il "Socializzazione dei salari", come l'ha definita il presidente Macron all'inizio dell'emergenza sanitaria, con lucidità espressiva e analitica tipicamente francese, sottolineando così l'inimmaginabile di una tale possibilità di fronte alle varie ortodossie del quadro economico Ue e, quindi, evidenziando anche la capacità di adattamento della politica; perché le leggi, dalla Costituzione in giù, non sono, lo sappiamo già, un contratto collettivo di suicidio.
Non lo dimenticheremo mai, quasi da un giorno all'altro, prima del certa minaccia di collasso economico e sociale di grandezze dantesche, il mondo - sì, niente di meno -, attraverso istituzioni molto diverse - politiche, scientifiche ed economiche, tra le altre -, facendo uso delle conoscenze accumulate dalle crisi passate e della maggiore capacità tecnologica ed economica di cui l'umanità non ha mai goduto, sforzi coordinati per cercare di scongiurare un pericolo certo, grave e comune. So che nelle prime settimane - quando sono state impegnate spese senza precedenti per evitare un'irrecuperabile entropia - da istituzioni vicine ai maggiori centri del potere mondiale, sono state gestite stime di successo intorno al 50%, in tutto caso dipende dall'ottenimento di vaccini efficaci e dalla generazione, nel frattempo, di risorse per resistere all'attrazione. Uno dei più grandi esperti finanziari spagnoli ha calcolato, verso la fine del 2020, che senza il successo dei vaccini, se la reclusione e l'insicurezza fossero continuate, avremmo avuto circa sei mesi prima del denaro, come nella terribile crisi inflazionistica tedesca di quasi un secolo fa cessato di avere alcun valore.
Penso che ne valga la pena, ora che sembra che stiamo assistendo alla fine di questo incubo e stiamo affrontando nuove sfide senza apparente interruzione nella continuità, riflettendo, con profondo dolore per così tante vite perse (in molti casos in una terribile solitudine), ma anche con riconoscimento e qualche soddisfazione, riguardo al capacità abbiamo dovuto superare il peggio di una sfida così grande.
In più di alcuni paesi lo abbiamo fatto, inoltre - e torno ora al campo giuridico-regolatorio del lavoro -, con un alto grado di solidarietà sociale inclusiva. Lo strumento normativo stellare - il dossier di regolamentazione del lavoro interinale - esisteva già in Spagna, anche se con un uso molto moderato, da decenni, per avere alternative al licenziamento in situazioni di crisi di prevedibile durata limitata nel tempo, Onorando la disoccupazione temporanea con il reddito delle persone colpite finanziate in modo misto (pubblico-privato), ricercando sia attraverso le norme di legge che attraverso la contrattazione collettiva l'equilibrio tra gli sforzi e le esigenze dei datori di lavoro e dei dipendenti (come le spese improduttive degli stessi, e il reddito e l'eventuale futura disoccupazione beneficia di questi). Come la T di "erTe” indica - assente nella denominazione, non più giuridica ma ancora in uso pratica, dei licenziamenti collettivi, gli “EREs ”-, tale provvedimento è efficace e attuabile quando la durata della causa che lo giustifica è limitata nel tempo - da qui il "T" per "temporaneo" - a ciò che è economicamente sostenibile secondo i parametri concorrenti in ogni situazione.
Infatti, come abbiamo appreso dalla loro pratica prima dei tempi del Covid-19, estendere un ERTE oltre ciò che è prevedibile e fattibile, l'azienda riduceva (quando non eliminava) le sue possibilità di sopravvivenza a causa del sostenuto squilibrio tra spese e reddito, e i lavoratori, che avevano subito la riduzione delle proprie risorse economiche, erano spesso condannati alla perdita del posto di lavoro con una riduzione delle indennità di disoccupazione pubbliche; per entrambi, le conseguenze furono disastrose.
La regolazione straordinaria dell'ERTE durante la pandemia è stata l'effetto di una situazione che, seppur non inedita - situazioni simili, e peggio, sono sempre state subite dall'umanità - si è deciso di affrontare, per la prima volta nella storia, con sufficienti conoscenze, risorse tecnologiche ed economiche e con una volontà politica inclusiva e solidale in una dimensione mai vista nei sistemi economici aperti. Indubbiamente, questo esempio incoraggia a immaginare possibili soluzioni non traumatiche (senza cassa integrazione, o con il minimo possibile) in future crisi strutturali e di transizione, con la centralità dell'istituto normativo della regolazione del lavoro interinale.
Tuttavia, non possiamo (e non dobbiamo) dimenticare che il mantenimento di questo meccanismo parzialmente finanziato con risorse pubbliche è stato al costo di un notevole aumento del debito pubblico e con uno sforzo in più di datori di lavoro privati, ed entrambi gli oneri saranno in definitiva sostenibili solo se l'economia produttiva lo è; cioè, se le imprese sono in grado di essere redditizie (e resta da vedere quante - molto significativamente tra le piccole e medie dimensioni - usciranno finalmente bene dalla crisi attuale) e se, per effetto di le risorse economiche generate, siamo in grado di far fronte al debito accumulato. Il diritto del lavoro deve agire, quindi, come vele ben progettate e come parte della sicurezza e della protezione delle navi che solcano mari imprevedibili e arrivano a porti fertili; ma senza dimenticare che le norme socio-lavorative non sono né l'acqua né il vento; Non è l'economia, né può sostituirla.

Roman Gil Alburquerque
Partner di Sagardoy Abogados. Dottore in Giurisprudenza.
Articolo originariamente pubblicato nel blog Fide del confideufficiale