Umberto Eco a giugno (ovvero come costruire il nemico)

“Perché quest'altro non potrebbe essere quello di un avvocato? E dove sono ora le sottigliezze e le distinzioni, dove sono i sotterfugi e i trucchi? Come può sopportare oggi che quel maleducato ganapán lo colpisca in testa con la sua lurida pala e resti senza intentare causa contro di lui per ferite e lesioni? Amleto riferisce queste domande agli avvocati, in una conversazione con Orazio sulla contemplazione dei teschi che i becchini di Ofelia stanno laminando con piccone e pala. La prima scena dell'atto V dell'Amleto è una drammatica vendetta, tanto brutale quanto combattiva, contro le arti, i saggi e i mestieri dell'epoca. I cantanti, i cortigiani ipocriti, gli agenti immobiliari e, infine, gli avvocati. È paradossale che Shakespeare non abbia studiato legge, o almeno non si sa che l'abbia fatto, quando invece più di due terzi delle sue produzioni teatrali contengono scene di procedimenti giudiziari. È vero che la società elisabettiana era molto litigiosa e, mi viene in mente, il contenzioso è un'espressione di conflitto materiale e spirituale per la maggior parte del tempo. Non sorprende, quindi, che la materia e l'essenza dell'opera del drammaturgo inglese si svolga tra cause legali e tribunali, tra contenziosi e processi, e, sulla base della sua esperienza, rivelerebbe in questo nobile mestiere sia i vizi che gli abusi come i vantaggi e le qualità di un commercio così indomito. Ebbene, Shakespeare si arrende a questa visione idealistica ed equilibrata della professione ne "Il mercante di Venezia". 
  

Per quanto strano possa sembrare, il primo personaggio dell'opera è la città stessa, Venezia, una città di più di centomila abitanti, tenendo conto che all'epoca erano solo quattro le città che superavano quella barriera di popolazione: Venezia, Milano, Napoli e Costantinopoli. Venezia rappresentava la forza, il successo commerciale, l'espressione della massima potenza politica ed economica, in un Mediterraneo aperto e dinamico, che abbracciava la conquista dell'America come un oceano di possibilità ed espansione. Venezia non aveva realmente conosciuto né il periodo feudale né quello comunale, essendo stata per secoli una Repubblica aristocratica, con un Doge eletto e coadiuvato da organi collegiali. Tuttavia, quella stessa Venezia che ebbe rapporti con il Nuovo Mondo, visse costretta in una struttura sociale ancora vicaria del Medioevo. Perché sebbene la prosperità economica e l'aumento della ricchezza familiare sia segno di ostentazione e reputazione, non è meno vero che non tutte le fortune dell'epoca erano considerate dello stesso livello. Così, mentre Antonio, il ricco mercante, gode di una fama indelebile derivata dalla sua indelebile condizione di cristiano, Shylock, nonostante il suo rango di uomo benestante, subisce il rifiuto e il discredito sociale derivanti dalla sua condizione di ebreo. Venezia era una città-stato che rappresentava la modernità e il progresso, una città liberale ma profondamente intollerante verso gli ebrei. Infatti, per imperativo legale, gli ebrei erano costretti a vivere nella zona murata della città o Ghetto, e quando si faceva buio, la porta della città murata veniva chiusa ermeticamente e sorvegliata dai cristiani. Durante il giorno, se uscivano dal Ghetto, dovevano indossare un cappello rosso come segno di riconoscimento, ed era loro vietato l'accaparramento di beni e proprietà, quindi praticavano l'usura. Tale era la derisione degli ebrei, che anche Jessica, la figlia di Shylock, intende abiurare la sua confessione: “Va bene, amico Lanzarote. Povero me! Che crimine ho commesso? Mi vergogno di avere un tale padre, e di essere suo solo per sangue, non per fede o costumi! Addio Lorenzo, salvami fideRealtà, adempi ciò che hai promesso, e ti giuro che sarò una tua sposa cristiana e amorevole". In questo auto ripudio, il fattore determinante è che il padre è un usuraio, poiché all'epoca la compravendita del prestito era moralmente vituperata come una scappatoia preliberale. 
  

Di fronte ai due protagonisti, alla maniera shakespeariana, ai due stereotipi che rappresentano due concezioni diametralmente diverse della società veneziana dell'epoca, e senza un iniziale riscatto morale, è necessario che ci sia un personaggio-ponte che faccia sbocciare il conflitto presentarsi. Quel personaggio è Basanio. Uomo impetuoso, audace, impulsivo e ardito, ma poco virtuoso nell'arte di accaparrarsi beni e denaro, ha bisogno dell'appoggio del suo buon amico Antonio: "Sai bene come ha sperperato il mio patrimonio in sfoggi di lusso non proporzionato le mie poche forze. Non mi lamento della perdita di quelle comodità. Il mio impegno è solo quello di uscire con onore dagli impegni in cui la mia vita mi ha posto. Tu, Antonio, sei il mio principale creditore in denaro e in amicizia, e siccome ci amiamo davvero, ti dirò il mio piano per liberarmi dei miei debiti”. La causa del bisogno pecuniario di Basanio risiede, come potrebbe essere altrimenti, in una causa d'amore. È profondamente innamorato di Porcia (“i suoi occhi mi hanno parlato più di una volta d'amore”): “A Belmonte c'è una ricca ereditiera (…) Si chiama Portia (…) Tutti sanno quanto vale, e vengono da lidi remoti per reclamare la sua mano. I suoi riccioli, che le pendono dalla tempia come un vello d'oro, fanno della villa di Belmonte un nuovo Colcos ambito da molti Giasoni. Oh mio Antonio! Se avessi i mezzi per rivaleggiare con qualcuno di loro, ho il presentimento che ne uscirei vittorioso." È così che Basanio va dall'usuraio Shylock per chiedere un prestito di 3.000 ducati, affidando l'operazione al buon Antonio che ha tutte le sue ricchezze oltreoceano. L'ebreo non scusa la magnificenza del cristiano, “per il solo vanto presta denaro senza interesse, con il quale rovina l'usura a Venezia. Se mai cadrà nelle mie mani, spegnerò tutto il mio odio su di esso." Il cristiano e l'ebreo firmano un contratto, in modo tale che Antonio si impegni, in caso dal non pagare il debito fiduciario, per consegnare "una giusta libbra della tua carne" dal luogo del corpo dove piace all'ebreo. 
  

Quando arriva il momento, Antonio perde tutta la sua fortuna al di là dei mari, poiché tutte le sue navi che erano in Messico, Tripoli, Barberia, India, Inghilterra e Lisbona sono naufragate. Senza pietà, l'ebreo gridò al rispetto del contratto pattuito, poiché era scaduta anche la scadenza della cambiale: “E se anche ad Antonio rimanesse del denaro per pagare l'ebreo, certo non lo riceverebbe. Non sembra essere umano; Non ho mai visto nessuno così ansioso di distruggere e annientare i suoi simili. Giorno e notte chiede giustizia al Doge, minacciando, se giustizia non sarà fatta, di invocare le libertà dello Stato. Invano i mercanti più ricchi hanno cercato di persuaderlo, così come lo stesso Doge ei Patrizi. Tutto invano. Insiste nella sua richiesta, e chiede la confisca, la giustizia e il compimento dell'affare ingannevole”. Shylock, del resto, chiede solo che quanto pattuito venga adempiuto volontariamente, senza analizzare la correttezza o iniquità, la proporzionalità o la sproporzione dell'accordo pattuito: “Chiedo che le condizioni dell'atto siano rispettate. Ho giurato di non rinunciare nemmeno a un briciolo del mio diritto (...) Il Doge mi renderà giustizia (...) Non voglio sentirti. Adempiere al contratto (...) Chiedo che il contratto sia adempiuto (...)”. Ma non è solo l'abietto usuraio che reclama il rispetto della legge del contratto, "dura lex, sed lex", ma Antonio arriva ad affermare che "il Dux deve rispettare la Legge, perché il credito di la Repubblica perderebbe molto se non fossero rispettati i diritti dello straniero. Tutta la ricchezza, la prosperità e lo splendore di questa città dipendono dai suoi commerci con gli stranieri”, e anche Porzia, davanti allo stesso Tribunale di Venezia, fingendosi il giovane avvocato Baltasar, proclama che “Nessuno può alterare le leggi di Venezia. Sarebbe un esempio disastroso, causa di rovina per lo Stato. La nota di crudeltà non dovrebbe avere importanza, quando si tratta di mantenere le persone entro i limiti dell'obbedienza. In questa situazione, Antonio, di fronte all'imminenza di scontare la pena, si spinge fino ad affermare che “sono pronto a tutto e armato di coraggio. Dammi la mano, Basanio. Arrivederci amico. Non rattristarti perché sono morto per salvarti. La fortuna mi ha mostrato più indulgente del solito (...). Non mi lamento del pagamento del debito; presto avrò accontentato tutti se la mano dell'ebreo non tremerà. Ma non tutto è perduto. Il giovane Basanio, intirizzito dal terrore della morte dell'amico, infine ruggisce in Tribunale affinché la lettera del contratto non venga rigorosamente rispettata, acconsentendo al Doge a dare un'interpretazione del contratto. caso giustizia, riecheggiando, in qualche modo, l'antico aforisma delle Sacre Scritture quando dice che «l'interprete della Legge è il giudice che detta la pena vivente viceversa in ogni caso particular”: “Romped per questo assolo caso quella dura legge Eviterai un grande male con un piccolo male e conterrai la ferocia di quella tigre. Immediatamente si apre il procedimento giudiziario all'applicazione dell'eccezione di nullità per fine illegittimo, diluendo il conflitto processuale in una bella trama, in cui si finisce per ritenere che le clausole del contratto costituiscano un attentato alla vita, e, quindi, un negozio giuridico con uno scopo illegale. Ma in precedenza, in un esercizio di giustizia poetica, la stessa Corte ducale fa prevalere l'interpretazione letterale del contratto: “Una libbra di carne di questo mercante ti appartiene; te lo dà la legge e te lo assegna la Corte; puoi tagliarlo dal petto come hai chiesto; la Legge lo permette e il Tribunale lo autorizza (...) Il contratto ti concede una libbra di carne, ma non una goccia di sangue. Prendi la carne che è ciò che ti appartiene. Ma se versi una goccia del suo sangue, i tuoi beni saranno confiscati secondo la legge di Venezia." E nel momento in cui l'avido usuraio si appresta a eseguire di sua mano la sentenza, una Porzia mascherata aggiunge: “L'ebreo avrà piena giustizia. La scrittura sarà soddisfatta. Preparati ora a tagliare la carne, ma senza versare il sangue, e deve essere una libbra, né più né meno. Se prendi di più, anche la ventesima parte di un adarme, o fai pendere la bilancia, anche di poco, perderai la tua vita e il Tesoro. Rapidamente l'ebreo ritira l'impossibile esecuzione della sentenza, ordinando al Tribunale di convertire la sentenza in una pena pecuniaria, cioè di pagare i 3.000 ducati. Ma poiché la sentenza era già stata pronunciata e notificata, ed era passata in giudicato, nel merito la domanda dell'usuraio veniva respinta. 
  

Vendetta privata contro vendetta pubblica. Shylock diventa così vittima del proprio oltraggio, forgiato con la forza di un contratto privato con un oggetto illegale e irrealizzabile, ma colpevole, a sua volta, di pubbliche leggi. Perché in terza istanza, il giovane dottor Baltasar sbotta: “Aspetta, ebreo. Anche così, le leggi ti raggiungono. Se uno straniero attenta con mezzi diretti o indiretti alla vita di un suddito veneziano, a lui spetta la metà dei beni del prigioniero e l'altra metà allo Stato. Il Doge deciderà della tua vita. È così che tu, direttamente o indirettamente, hai tentato contro l'esistenza di ANTONIO; allora la legge ti prende da metà a metà. Inchinati ai piedi del Doge e chiedigli perdono". Il Doge acconsente alla clemenza, ancor prima che l'ebreo officii la richiesta. Antonio mostra anche la sua ultima benevolenza: «Se il Doge e la Corte ti esentano dal versare all'erario metà della tua fortuna, ti perdono l'altra metà, a due condizioni: prima, che tu abiuri i tuoi errori e ti faccia cristiano; la seconda, che con atto stipulato in questa medesima udienza, toglie in eredi di tutto la figlia e il genero Lorenzo». È così che si raggiunge la verità, in modo quasi canonico, poiché è la ricerca della verità che ispira e dà senso al processo giudiziario, che non ha altro obiettivo che cogliere e riprodurre la verità in una risoluzione giudiziale, o nel senso volteriano, "la giustizia portata troppo oltre può diventare ingiustizia". Comunque sia, non dobbiamo giudicare la vena poetica di Shakespeare attraverso il filtro del rigore giuridico, poiché non per niente le università anglosassoni la usano come esempio di disertori e di grossolani errori nella pratica giudiziaria: una causa civile che diventa lo svolgimento del processo in sede penale, l'impossibilità di intervento nel processo Porzia per parzialità, lo svolgimento del processo senza interruzione e, conseguentemente, senza le più elementari garanzie processuali, ovvero l'assenza di assistenza legale, posto che tutte le la dialettica argomentativa ha luogo tra i personaggi della commedia. Non abbiamo bisogno di usare la pala zacateca per danneggiare l'ufficio dell'avvocato. Shakespeare l'ha già fatto e i morti sono morti. 

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Mario Garces Sanagustin

Mario Garces Sanagustin

Revisore dei conti e Revisore dei conti dello Stato. Ispettore del Tesoro di Stato. Membro del Consiglio Accademico di Fide.

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